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FEDERICO QUADRELLI

Uno sguardo critico sulla realtà

Giovani italiani: divisi tra apertura e paura per il futuro

10 Giu 2020 | Ricerca sociale

Articolo pubblicato su Cild, 04.04.2019

Introduzione

La disoccupazione in Italia è aumentata in modo drammatico dall’inizio della crisi economica del 2008, specialmente tra le giovani generazioni. La percentuale di NEET – acronimo di Not Engaged in Education, Employment or Training, ossia coloro che non studiano, lavorano o sono impegnati in qualche esperienza formativa – ha raggiunto, secondo il rapporto dell’osservatorio giovani, il 26%. Il sociologo Franco Ferrarotti ed il filosofo Umberto Garimberti hanno scritto dei giovani tra i 15 e i 25 anni come di una “lost generation”, una generazione perduta, che si sente socialmente esclusa, abbandonata dalle istituzioni del proprio paese e dalla politica.

I movimenti di destra estrema, ma anche partiti o movimenti come la Lega, Fratelli d’Italia o in particolar modo il M5S, hanno capitalizzato su queste paure e alimentato la rabbia utilizzando un linguaggio xenofobo per aumentare il loro consenso. Tutto questo solleva delle domande: che cosa può significare per i valori della società aperta in Italia? È stata la narrazione anti-immgrati a spingere le giovani generazioni a votare per i movimenti populisti e le destre alle scorse elezioni politiche? È stato il mix di razzismo, situazione economica negativa e alti livelli di disoccupazione, così come la paura per il futuro, a spingere le giovani generazioni italiane in questa direzione?

Pessimismo, paura e razzismo

I millennials in Italia hanno dovuto affrontare una grande incertezza economica e politica. Secondo Demos&Pi gli appartenenti alla classe d’età tra i 25 e i 36 anni si sentono soli e hanno poca fiducia nel futuro. Per i 15-24enni, invece, c’è più ottimismo, anche se, confrontati con una domanda su come si vedono nel futuro prossimo, il 70% di loro risponde che per avere una carriera di successo dovranno abbandonare il paese.

Per quanto riguarda invece la questione delle migrazioni, Demos&Pi individua un 20% tra i rispondenti nella classe d’età 15-24 e un 31% per la classe 25-36 che considerano i migranti come una minaccia. Questo è particolarmente evidente tra coloro che hanno votato la Lega o il M5S. L’istituto Demopolis, infatti, ha individuato che la retorica anti-immigrati ed euroscettica ha avuto particolare presa tra gli under 40.

Nel 2010, La Repubblica ha riportato uno studio commissionato dal Parlamento italiano che rilevava come un quarto dei rispondenti tra i 18 e i 29 anni potesse essere identificato come “xenofobo”, con particolare intolleranza verso Sinti, Rom e albanesi. Lo studio concluse che solo un 10% del campione dei giovani poteva essere definito, comunque, come “razzista”, con un atteggiamento molto più pessimistico e ostile verso gli stranieri in generale. Una ricerca dell’Osservatorio Giovani, nel 2016, ha poi confermato questo scenario.

Più recentemente, una ricerca internazionale coordinata da Ipsos per il progetto “More in Common” ha individuato un’ampia fetta di italiani identificabili come “centro incerto”. Antonella Napolitano spiega che gli appartenenti a questa categoria non manifestano valori della società chiusa allo stesso modo di chi è definibile come nazionalista, ma sono comunque scettici sul cosmopolitismo. Dimostrano un “diffuso malessere per lo status quo, una profonda sfiducia verso le elites e un significante numero crede che la globalizzazione li abbia esclusi”. I “nazionalisti ostili”, invece, non rappresenterebbero più del 7% del campione.

 

Dietro le facili etichette

I dati raccolti con la survey di Voices on Values suggerisce che non ci sono differenze significative tra i vari gruppi d’età nel modo in cui giudicano i valori della società aperta (Fig.1), come la libertà d’espressione, la tutela delle minoranze etniche, la libertà di religione. Questi items sono considerati più importanti per una buona società rispetto agli items indicanti i valori della società chiusa, come “le coppie lgbt non devono baciarsi in pubblico” o “che a meno immigrati possibile sia concesso di entrare nel paese”. I principi della società aperta presentano valori più alti tra tutti i gruppi d’età, con una sola piccola differenza tra la classe d’età 18-24 e gli over 65 ed altrettante piccole differenze nei valori della società chiusa. L’età ha quindi un impatto contenuto sulle risposte delle italiane e degli italiani, anche se delle differenze possono essere comunque individuate.

L’esperimento con scelte tra più items d’altra parte offre una più approfondita comprensione di quanto importante siano i valori della società aperta in Italia. Agli intervistati è stato chiesto di scegliere tra affermazioni sulla società aperta e altre che limitavano queste libertà.

Nella figura 2 l’affermazione dice se il trattamento equo dei nuovi arrivati è più, egualmente o meno importante, per esempio, del proprio benessere economico. La seconda affermazione, nella figura 3, oppone il trattamento equo dei nuovi arrivati con la protezione della coesione sociale.

Tutti i gruppi di età si sono dimostrati ben disposti a scegliere un valore rispetto a un altro, con qualche differenza, minimale, tra la classe d’età 18-24 e le altre. Dato che il benessere economico è considerato spesso più importante che il trattamento equo dei migranti, questo deve essere considerato alla luce del contesto di crisi economica e conseguenti insicurezze. Ciò suggerisce che l’insicurezza continua a giocare un ruolo significativo nella mente delle giovani generazioni e influenza in modo forte come vedono la società e ciò che quindi valutano come importante per una buona società.

Nella figura 3, il gruppo più giovane appare come quello più predisposto a sostenere la coesione sociale rispetto all’equo trattamento dei nuovi arrivati confermando che è per le preoccupazioni economiche che i giovani valutano il proprio benessere più importante del trattamento equo dei nuovi arrivati, piuttosto che per ragioni di razzismo o xenofobia.

Conclusione: è l’incertezza economica e la paura, non semplicemente il razzismo

I dati sopra esposti indicano che le giovani generazioni d’italiane e italiani condividono la stessa visione del mondo dei loro genitori e nonni. Considerano la coesione sociale e il benessere economico più importanti del trattamento equo delle persone arrivate di recente in Italia.

Malgrado l’essere stati esposti ad una crisi economica pesante e malgrado una crescente esposizione a retoriche anti-immigrati, i giovani italiani dimostrano di tenere in buona considerazione, maggiormente rispetto a gruppi d’età più avanzati, il valore del trattamento equo. Tutto questo a dispetto di un senso di insicurezza molto radicato, tanto che molti di loro non riescono a immaginare un futuro positivo.

Che cosa significa per la società aperta in Italia? Il numero importante di giovani che ha votato per movimenti o partiti populisti di destra non ci parla solo di razzismo, ma anche di un diffuso sentimento d’ingiustizia, disuguaglianza e senso di abbandono da parte delle elites politiche. Tutto ciò si somma a un crescente senso di alienazione.

Anche se questo offre motivi di preoccupazione per lo stato della società aperta in Italia, questi risultati ci dicono anche che i più giovani non sono razzisti o xenofobi per se, ma che hanno trovato nei movimenti o partiti populisti di destra un approdo per le loro paure, rabbie e frustrazioni. Considerano i governi precedenti e le elites politiche responsabili per le loro preoccupazioni, e per questo abbracciano le retoriche aggressive, anti-establishment dei populismi e delle destre, come il M5S e la Lega. La sfida per il futuro della società aperta è di migliorare le prospettive economiche delle giovani generazioni per poter ricomporre la fiducia ora persa nel sistema politico.